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L’Artista del mese di MARZO de IL QUADRO DEL DIRITTO è LOME (Lorenzo Menguzzato) – 12 mesi/ 12 artisti / 36 opere/ 3 sedi espositive – da un’idea di Carlo Chelodi

Giovedì 9 marzo 2017 ad ore 19:00 presso la Casa del Vino di Isera  sarà presentato il terzo appuntamento con l'Artista per il ciclo di incontri con arte e diritto, organizzato dallo Studio legale Chelodi-Bertuol e Associati .

L'Artista del mese di Marzo è Lorenzo Menguzzato, in arte LOME: Pittore e scultore, ha fondato il Bosco dei Poeti ed ha partecipato ad oltre 300 mostre ed eventi in Italia e all'estero. Allievo di Riccardo Licata e formatosi all'Accademia di Belle Arti di Venezia LOME opera a Trento in vicolo S. Maria Maddalena n. 16 (http://www.lomearte.it)

L'Artista  presenterà alcune sue opere, dando anche occasione  per una breve riflessione giuridica  dell'Avv. Antonio Contarino ispirata dai quadri in esposizione.

Per tutto il mese di marzo le opere di LOME resteranno esposte nelle sedi di Trento, Ala e Cles dello Studio legale Chelodi-Bertuol e Associati (visite personalizzate su appuntamento)

(coordinamento artistico e giuridico: avv. Carlo Chelodi; coordinamento progettuale: dr. Sara di Lucia; partner del gusto: Casa del Vino di Isera – per info : 389.9859164 saradilucia@gmail.com  )

La riflessione giuridica

La bella iniziativa dello Studio Chelodi & Bertuol è stata efficacemente battezzata “Il quadro del diritto”.
Vorrei, allora, rovesciare il calembour e parlarvi del “diritto del quadro”.
Non è il caso, in questa sede, di citare il codice civile e le leggi speciali, né di parlare degli aspetti giuridicamente significativi dell’attività artistica, e in particolare di quella pittorica (diritto di autore, notificazione delle opere di interesse nazionale, commercializzazione delle opere, allestimento delle mostre, disciplina dei prestiti e delle relative polizze di assicurazione, ecc.).
Vorrei invece parlare di un singolo caso, famoso, nel rapporto, appunto, fra arti visive e mondo del diritto, e cioè il caso di un quadro di Giorgio de Chirico (Piazza d’Italia, alias Souvenir d’Italie II), perché ha segnato un momento di svolta in tale rapporto.
de Chirico è stato certamente uno dei pittori italiani più famosi, e anche uno dei più influenti, soprattutto nella prima fase della sua carriera, c.d. “metafisica”.
E’ stato anche, certamente, uno dei pittori più falsificati, tanto che il mercato delle sue opere risulta uno dei più “pericolosi”, per i collezionisti.
La vicenda riguarda, appunto, un falso de Chirico, la Piazza d’Italia, come ho detto, che fu oggetto di una causa civile, svoltasi in tre gradi: Tribunale di Roma, Corte d’Appello di Roma e Cassazione.
Tutto incomincia nel 1946, allorché un appassionato d’arte e commerciante di opere, Dario Sabatello (che aveva ricoperto incarichi importanti durante il Fascismo, ma che aveva dovuto rinunciarvi in seguito alle leggi razziali), decide di acquistare un quadro di de Chirico del periodo metafisico (probabilmente per venderlo negli Stati Uniti, dove aveva, sembra, un compratore) e lo cerca presso il pittore stesso.
Non soddisfatto di quanto gli aveva proposto de Chirico, si rivolge ad una Galleria milanese, “Il Milione”, conosciuta per trattare le opere del Maestro.
Acquista, quindi, “Piazza d’Italia”, che era pervenuto alla “Il Milione” dopo essere stato nella collezione dell’ing. Alberto Dalla Ragione e dell’avv. Rino Valdameri, e lo fa recapitare, dalla sorella, a de Chirico per avere una sua dichiarazione di autenticità, che gli sarebbe servita, in base alle leggi statunitensi, per esportare il quadro in modo più semplice e meno oneroso.
Quando de Chirico vede il quadro ne afferma la falsità, e cerca di sottrarlo al la sorella di Sabatello, per evitarne la circolazione.
Ovviamente, il Sabatello si oppone, e i rispettivi avvocati stabiliscono di lasciarlo in deposito fiduciario preso un notaio.
Fino a quel momento – e in questo consiste la peculiarità del rapporto arte/diritto in questo caso – le controversie sull’autenticità di un quadro venivano risolte stragiudizialmente, magari con l’intervento di un esperto; se il quadro si rivelava non  autentico, veniva restituito al venditore, che a sua volta restituiva il prezzo di acquisto; si manteneva il riserbo sulla vicenda, soprattutto per non destare sospetti e non creare difficoltà in un ambiente già di per sé “difficile”.
Dario Sabatello, invece, “rompe” questa sorta di prassi, di abitudine, e decide di agire in giudizio, citando davanti al Tribunale di Roma de Chirico e la Galleria “Il Milione”, perché si accertasse l’autenticità o meno del dipinto, con le relative conseguenziali pronunce, in un caso e nell’altro.
Il Tribunale dispone una consulenza tecnica d’ufficio, interroga de Chirico, sente alcuni testimoni e conclude, con sentenza del 1951, che il quadro è autentico.
Sconforto di de Chirico – che vedeva nell’intera questione un capitolo della sua battaglia contro i surrealisti, e le loro posizioni nei confronti della sua opera – e sua decisione di impugnare la sentenza.
La Corte d’Appello di Roma, nel ’55,rovescia il verdetto, e dichiara trattarsi di un falso.
La Cassazione, a cui si rivolgono, a questo punto, il Sabatello e la Galleria (che “ingaggia” un vero e proprio principe del foro, Piero Calamandrei) conferma, un anno dopo, la sentenza di secondo grado. Il quadro è falso; la firma di de Chirico deve essere cancellata, ma il quadro non viene distrutto (come aveva chiesto, invece, de Chirico)  perché, a dire dei giudici, avrebbe comunque un valore commerciale, sia pure assai diverso da quello derivantegli, invece, dall’autenticità, ed è tuttora conservato, oggetto di confisca (a seguito di una vicenda successiva, e relativamente recente, che non serve citare), presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma.
Dunque, come si è detto, la peculiarità del fatto consiste nella nuova dimensione del rapporto fra opera pittorica e mondo del diritto, che nasce proprio con questo caso, con le sentenze di cui abbiamo detto.
Si afferma il principio – per altro sacrosanto, in termini squisitamente giuridici – per il quale non è sufficiente la dichiarazione dell’autore, che riconosca o meno la propria opera, per stabilire se un quadro sia falso oppure no.
La dichiarazione dell’autore è soltanto uno degli elementi da valutare per questo accertamento, che può essere compiuto anche contro la volontà dell’autore e contro la sua, per così dire, “opinione”.
Nel caso specifico, alcuni autori sostengono tuttora, forse con ragione, ed anche contro le prese di posizione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, che la sentenza corretta fosse la prima, quella del Tribunale; il quadro era autentico, ma de Chirico volle disconoscerlo perché opera sostanzialmente modesta, che non voleva potesse circolare, a detrimento della sua fama di pictor optimus, come si era definito.
Per altro, questa conclusione può essere avvalorata dal fatto che – come sembra ormai non più discutibile – de Chirico era solito “retrodatare” alcuni suoi quadri, volendo collocarli nel primo Novecento, appunto nel periodo c.d. metafisico (per la sua creatività, il migliore) essendo consapevole che la sua produzione successiva non era all’altezza della sua fama.
Ecco dunque che i quadri … entrano nei tribunali non più solo per vicende collaterali (smarrimenti, danneggiamenti, e relativi risarcimenti) ma affinché se ne accerti (erga omnes, nei confronti di tutti, come diciamo noi avvocati) l’autenticità; ai giudici, da quel momento, viene demandato anche il compito di verificare (ovviamente, con l’aiuto di esperti) se quella determinata opera sia attribuibile a quel determinato autore, anche sulla scorta di valutazioni squisitamente estetiche, delle quali diventano arbitri definitivi; si chiede ai magistrati, in fondo, di … decidere sulla … “creatività” del pittore, cioè se l’opera gli possa essere attribuita, non soltanto in base a criteri oggettivi, ma anche in forza di un giudizio di applicabilità al caso specifico dei canoni estetici riconosciuti all’autore.
Non a caso, nella sentenza di appello (l’unica disponibile nella sua interezza) troviamo più di un riferimento, mutuato dalle perizie e fatto proprio dai giudici, alle caratteristiche dell’opera ed a particolari anche tecnici, squisitamente pittorici.
Tanto che non manca in tale sentenza, nel dare ragione di quanto affermato da de Chirico nel proprio interrogatorio,  un passaggio anch’esso, quasi, metafisico: “per un artista di genio la convinzione sulla falsità è formata da ragioni intime, difficilmente manifestabili con parole e con dettagli di particolari.”

– avv. Antonio Contarino –